Non ricordo da quanto piango. Forse da ore. Forse da giorni. Gli occhi costantemente mi bruciano, ma le lacrime continuano a scendere, come se dentro avessi un pozzo senza fondo. Entro nella sua stanza come ho fatto altre migliaia di volte, come se potesse ancora sentire i miei passi. Tutto è rimasto com’era: la coperta piegata a metà, i libri ammucchiati sul comodino, l’odore leggero di vaniglia che usava nei suoi spray per capelli. Comincio a frugare nei cassetti, quasi per istinto, come se tra le sue cose potessi trovare una risposta, un segno, qualcosa.
E poi lo vedo. Ben nascosto sotto un cumulo di jeans. Il diario.
Lo prendo tra le mani e ho come la sensazione che cuore mi stia per uscire fuori dal petto. È consumato agli angoli, le pagine un po’ stropicciate. Lo apro con timore, come se stessi violando un tempio. Le righe sono piene della sua scrittura minuta, ordinata. Ogni parola mi colpisce come un pugno, ma non riesco a fermarmi. Scorro con gli occhi annebbiati dal pianto, finché non arrivo all’ultima pagina.
In quell’istante, il cuore, che fino a poco prima batteva all’impazzata, all’improvviso sembra fermarsi. Una stretta gelida mi stringe il petto. La data scritta in alto... è successiva a quel giorno. Le mani mi tremano mentre fisso quelle righe, consapevole che sto leggendo le sue ultime parole. Quelle che nessuno avrebbe mai dovuto leggere. Quelle che, forse, aspettava solo che io trovassi. Ma c'è qualcosa che non torna. Quella data... Dopo quel giorno. Dopo la fine. Eppure sono lì, incise con la sua calligrafia netta, intima, viva. Come se il tempo avesse aperto una crepa. Come se qualcuno, o qualcosa, avesse voluto che io sapessi. Che io leggessi.
10/ Gennaio/ 2025
"Mi chiamo Giulia. Sedici anni, capelli castani raccolti quasi sempre in una coda spettinata, occhi color nocciola pieni di sogni. Sono una ragazza come tante: vivo in un quartiere qualunque di una cittadina qualunque, dove le giornate scorrono sempre uguali, tra scuola, studio e messaggi vocali infiniti con le amiche. Ma in questa monotonia apparente, custodisco un universo fatto di ambizioni, tormenti adolescenziali, amori immaginati e paure vere.
Ogni mattina mi sveglio alle 6:45. Mi alzo senza protestare, mi preparo in silenzio e prendo il bus delle 7:20. A scuola me la cavo. Non sono un genio, ma sono diligente. I professori mi stimano, i compagni mi cercano per copiare i compiti. Mi faccio voler bene da tutti, ma dentro porto un groviglio di pensieri che a volte nemmeno io so sbrogliare.
Vengo da una famiglia normale. Mio padre lavora in fabbrica, mia madre fa l'infermiera e spesso i loro turni si incastrano come pezzi di un puzzle complicato. Quando si accavallano, tocca a me badare al mio fratellino. La mattina lo sveglio, gli preparo la colazione e lo accompagno all'autobus che parte dieci minuti prima del mio. Lo faccio senza fiatare, anche se a volte mi sento stanca, anche se vorrei solo restare a letto.
La sera, dopo cena, studio nella mia cameretta decorata con poster di concerti, foto stampate male e improbabili citazioni scritte a mano sul muro. Sogno di diventare giornalista, o magari scrittrice. Passo ore a scrivere su questo diario, dove riverso ogni cosa: le litigate con la mamma, le cotte non ricambiate, le ansie per le interrogazioni, i sogni di un futuro che sembra lontano ma che, in fondo, sta arrivando troppo in fretta.
Ho due migliori amiche, Martina e Chiara. Le conosco dalla prima media, e anche se siamo molto diverse, siamo inseparabili. Ridiamo, piangiamo e ci confidiamo tutto. O quasi tutto. Perché da un po' di tempo a questa parte, io mi sento diversa. Un senso di inquietudine mi cresce dentro, come se qualcosa mi stesse chiamando da fuori, qualcosa che sta oltre le pareti della scuola, oltre questo diario e le chiacchiere con le amiche. Qualcosa di più veloce, più forte, più vivo.
Da qualche settimana sto vedendo un ragazzo. Si chiama Luca, ha diciassette anni, frequenta un'altra scuola ma ci siamo conosciuti tramite amici in comune. Non è come gli altri. È dolce, silenzioso, mi guarda come se vedesse davvero me. All’inizio c’erano solo messaggi, poi i primi incontri, poi i baci. E ora quei baci si stanno trasformando. Le sue mani sono più sicure, le carezze più lente, più intense. Mi piace. E quando mi sfiora, mi si stringe qualcosa dentro, qualcosa che non fa paura, ma che sento come un bivio.
Molte delle mie amiche hanno già fatto l’amore. Alcune per curiosità, altre per amore, o almeno così pensavano. La maggior parte, però, se ne sono pentite. Ne parlano con amarezza, con fastidio. “Lui poi è sparito”, “Non era come credevo”, “Mi sono sentita usata”. Parole che mi restano addosso come spine.
Io non voglio che sia così. Non voglio che la mia prima volta sia qualcosa di squallido da dimenticare. Per me è importante. Troppo importante. Non sono pronta. Non ancora. E forse Luca lo capisce, forse no. Devo capire se lui è davvero diverso, se posso fidarmi, se davvero mi vede per quella che sono, e non solo per il mio corpo. Voglio aspettare. Voglio essere sicura. Voglio sentirmi al sicuro.
Era un sabato sera. Una serata iniziata come tante, con messaggi tra noi tre per decidere cosa fare. "C'è una festa a casa di Marco, quello del quinto", ha scritto Martina. "Dicono che ci sarà anche Andrea con la sua macchina nuova."
Andrea è uno di quelli del quinto, più grandi, più affascinanti, quelli che sembrano già adulti. Ha una macchina nera, potente, lucida, che fa un rumore da far tremare l'asfalto. L'ho incrociato qualche volta in corridoio. Occhi chiari, sorriso storto. Mai mi ha rivolto la parola.
Quella sera ci siamo trovate davanti al cancello della scuola, come d'accordo. Andrea era lì, con la macchina accesa e la musica a palla. "Venite?" ha chiesto, aprendo la portiera. Ho esitato un attimo, ho guardato Martina e Chiara. Loro hanno sorriso e sono salite senza pensarci. Io le ho seguite, con il cuore che batteva più forte.
La macchina è partita come un colpo di fucile. La musica vibrava nei sedili, le luci della città scorrevano come comete fuori dai finestrini. Andrea rideva, accelerava, sorpassava. Ogni curva era una sfida, ogni rettilineo una scarica di adrenalina. Noi urlavamo, ma non per paura: era eccitazione, era libertà.
Guardavo fuori, sentivo il vento sulla faccia, i capelli che mi volavano. In quel momento, tutto sembrava lontano: la scuola, i sogni, i doveri. C'era solo quella velocità che bruciava il presente, che mi faceva sentire finalmente viva.
Poi è venuto il sorpasso. Andrea ha premuto ancora sull'acceleratore, ha invaso l'altra corsia. Una curva. Le luci di un'altra macchina di fronte.
Un attimo.
Un respiro trattenuto.
Il buio.
Poi il buio si è fatto luce. Ma non la luce che conoscevo. Era tutto ovattato, distante. Mi vedevo dall’alto. Vedevo l’auto accartocciata contro un guardrail, le portiere spalancate come ali spezzate. E io lì dentro, immobile. Non sentivo dolore, solo un silenzio assordante.
La scena si allontanava lentamente, come se stessi fluttuando, come se il mio corpo restasse giù e qualcosa di me volasse via. Le voci erano lontane, distorte, come suonate sott’acqua. Sentivo grida, gente che correva, mani che si portavano alla testa, occhi spalancati dall’orrore.
Martina. Chiara. Le vedevo piangere, urlare, con i volti rigati di sangue e le teste piegate. Erano coperte di ferite, disperate, cercavano di uscire dalla macchina, ma io non potevo toccarle. Ero lì, eppure non c'ero. Andrea era chino sul volante, immobile.
Poi ancora più lontano. Le sirene. Le luci blu. Il tempo sembrava essersi rotto. Io mi dissolvevo, come una fotografia sbiadita sotto la pioggia.
Tutto si è spento in un istante. I miei sogni, i miei sacrifici, i messaggi non letti, i baci mai dati, le pagine di questo diario. Tutto è evaporato nel suono secco di una frenata, in un colpo sordo, in un silenzio assordante.
La strada è rimasta lì, muta testimone della mia giovinezza bruciata in una corsa stupida.
Mamma, so che stai leggendo tutto questo con il cuore spezzato. Ma ti prego, non lasciare che il dolore ti consumi. Papà ha bisogno di te. Il mio fratellino ha bisogno di vederti sorridere ancora. Torna alla tua vita, anche se ora ti sembra impossibile. Torna al lavoro, alla routine, ai piccoli gesti quotidiani. Io sarò sempre con voi, in ogni tuo passo, in ogni abbraccio che gli darai. Non lasciarti spegnere. Vivete anche per me.
Giulia."